Passavo in bicicletta in un bosco fatato, profumato di more, ortica e finocchio selvatico.
Tracciato da un sentiero di asfalto cui la natura non si rassegnava, segnandolo di solchi possenti di radici impavide e fiere.
Ci vivevano una dozzina di conigli, con le loro code a pompon, amorevolmente realizzate con la maglieria magica da qualche fata sbarazzina.
Mi saltellavano davanti alle ruote sporche di polvere, impauriti loro, sorpresa e grata io.
Tutto era perfetto, pur nella sua imprecisione.
Poi è arrivata la tempesta.
Ha pettinato il bosco, divelto gli alberi con le radici più deboli, portato via nel vento i coniglietti.
O almeno, credo.
Ne è rimasto uno soltanto.
Così si impara da maggiorenni a immaginarsi soli, in prospettiva.
Si rifanno gli stessi errori, con la speranza che alla maggiore età – appunto - a diciotto anni da quella prima volta in cui un uomo preferì la carriera alla moglie e perfino ai figli, non ci si ritrovi coinvolti in un dejà vu.
Facili soluzioni a problemi complessi, come una madre anziana, due figli adolescenti, il tuo dolore mai sopito, i tuoi fallimenti pesanti.
Rifaccio la strada, incespicando tra i solchi di possenti radici impavide e fiere.
La musica è profetica.
Passa da “A un passo dal possibile, a un passo da te” che fu di così dolce tepore in quel periodo terribile di smarrimento in terra straniera a “Impareremo a respirare, nuove distanze ci riavvicineranno” – speriamo a noi stessi, perduti e sperduti – per arrivare all’allegria trasbordante e malinconica di Juanita guantanamera.
Su chi puoi contare unico coniglietto resistente alle tempeste?
https://youtu.be/b3oxFc_CnVw